L’esperienza della pandemia ci ha messo duramente alla prova, stravolgendo la nostra quotidianità al punto che oggi facciamo fatica a ricordare come era la vita prima e ci siamo abituati, anche troppo, alle distanze fisiche. Ѐ necessario agire affinché queste distanze non si acuiscano, coinvolgendo sempre di più anche la sfera emotiva e psicologica, e riflettere sul nostro modo di vivere la prossimità nei vari ambiti della nostra vita.
La parola “cura”, che fino ad ora abbiamo associato quasi sempre a “malattia”, ora può rappresentare l’opportunità, partendo da noi stessi, di andare oltre le nostre individualità per riscoprire un rinnovato senso di responsabilità verso la nostra vita e le realtà che ci circondano. Educare ed educarsi alla cura è un percorso, non privo di difficoltà, ma in questo tempo un investimento più che necessario. Gli ambiti nei quali esercitare “Il Vangelo della cura” sono vari, diversi e propedeutici l’uno all’altro. La nostra persona rappresenta certamente il primo, forse il più importante, da cui partire. Quante volte ci capita di dire <Adesso devo pensare un po’ a me!>. Avere cura di noi è il primo passo di questo percorso di rieducazione. Comunemente e semplicisticamente penseremmo al bisogno di esercitare finalmente un po’ di “sano egoismo”, di dedicarci alla cura della forma fisica o dell’estetica, di rilassarci lasciando tutto il mondo fuori, di sentirci liberi di fare le nostre scelte senza pensare alle conseguenze.
Avere cura di sé In parte è anche tutto ciò, ma dovrebbe significare anche rispondere alla vocazione che Dio ci ha donato, andando in profondità nella nostra vita. Cosa vogliamo davvero? Qual è il progetto che Dio ha pensato per noi? Cosa ci rende felici e ci fa vivere in pienezza la nostra vita? Chi siamo davvero? Spesso immersi nella frenetica quotidianità preferiamo non porci tante domande scomode e ci facciamo travolgere, talvolta anche manipolare, dagli eventi e dai contesti che frequentiamo, finendo per diventare qualcun altro o, peggio ancora, quello che gli altri vogliono. Eppure è proprio a queste domande che dovremmo sforzarci di dare una risposta se vogliamo crescere nella cura di noi. Andare in fondo nella nostra vita, curare le ferite del nostro cuore e farci pace, riscoprire la nostra autenticità e unicità, guardare con verità e misericordia alla nostra persona, alla nostra vita, alla nostra storia, è la prima forma di cura che dobbiamo a noi stessi.
Non potremo mai essere ciò che non siamo, ma possiamo e dobbiamo essere ciò che siamo, perché a questo siamo chiamati. Tantomeno possiamo pensare di farci prossimi degli altri se prima non ci facciamo prossimi di noi stessi, riconoscendo di essere i primi ad aver bisogno che qualcuno o Qualcuno si prenda cura di noi, delle nostre miserie, dei nostri bisogni profondi. Se, però, ci aspettiamo che il Suo prendersi cura di noi si traduca nell’esaudire i nostri desideri, nell’evitarci i problemi o le sofferenze ne rimarremo certamente delusi. Spesso per risollevarci ci diciamo <Aiutati che Dio ti aiuta!> e in effetti questo è uno degli inviti più veri che possiamo farci, perché “aiutarsi” è proprio quell’avere cura di noi stessi senza il quale Dio può fare ben poco e noi andare da nessuna parte.
Annabella Troncone
OFS di Atripalda
Le parole dell’articolo arrivano dritte al cuore e scavano dentro il pensiero di chi legge, fungendo da stimolo positivo.