Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà» (Gv 2,13-17).
In questa terza domenica di Quaresima la liturgia della Chiesa ci presenta l’episodio di Gesù che scaccia dal tempio di Gerusalemme i venditori di animali e i cambiamonete. Possiamo immaginare la grande impressione che destò nella folla e nei discepoli, abituati a tutt’altro atteggiamento del Maestro. Non minore è lo stupore che coglie anche noi quando consideriamo tale avvenimento; e, forse per questo si tratta di una delle pagine più ricordate del Vangelo.
Certamente «è impossibile interpretare Gesù come violento: la violenza è contraria al Regno di Dio, è uno strumento dell’anticristo. La violenza non serve mai all’umanità, ma la disumanizza» (Benedetto XVI, Angelus, 11 marzo 2012). Eppure, si è trattato di un gesto molto forte, un gesto che avrebbe dovuto scuotere tutti; un gesto in qualche modo “profetico”, rivelatore.
«Ascoltiamo allora le parole che Gesù disse compiendo quel gesto: “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. E i discepoli allora si ricordarono che sta scritto in un Salmo: “Mi divora lo zelo per la tua casa” (69,10). Questo salmo è un’invocazione di aiuto in una situazione di estremo pericolo a causa dell’odio dei nemici: la situazione che Gesù vivrà nella sua passione. Lo zelo per il Padre e per la sua casa lo porterà fino alla croce: il suo è lo zelo dell’amore che paga di persona, non quello che vorrebbe servire Dio mediante la violenza. Infatti, il “segno” che Gesù darà come prova della sua autorità sarà proprio la sua morte e risurrezione. “Distruggete questo tempio – disse – e in tre giorni lo farò risorgere”. E san Giovanni annota: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,20-21). Con la Pasqua di Gesù inizia un nuovo culto, il culto dell’amore, e un nuovo tempio che è Lui stesso, Cristo risorto, mediante il quale ogni credente può adorare Dio Padre “in spirito e verità” (Gv 4,23)» (Benedetto XVI, cit.).
Oggi, nel cammino verso la Pasqua, possiamo chiederci: “Qual è lo zelo che divora la mia anima?”. Di fronte all’odio, alla violenza, alla sopraffazione come reagisco? A che cosa è abituato il mio cuore, al rancore o piuttosto al perdono? Che cosa desidero di più davvero, il conflitto oppure la riconciliazione? Per che cosa m’impegno ogni giorno, per distruggere o invece per costruire?
Il “segno” che Gesù ha dato, la sua morte e la sua risurrezione, è il “segno” che dovrebbero dare anche i suoi discepoli: la sconfitta del male con il bene! Dopo la Pasqua di Gesù non possiamo avere più alcun dubbio che il bene vinca sempre; tuttavia, questa sicura vittoria non la si può ottenere senza combattere. Nel mistero pasquale di Cristo, infatti, “morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello” (Sequenza di Pasqua). La fede nella risurrezione, allora, non ha senso se non si traduce in azioni concrete che portino vita dove c’è la morte. È questo il nuovo culto a cui faceva riferimento papa Benedetto, il culto dell’amore!
Il tempio per il quale lo zelo ci deve divorare è Gesù; ma Gesù ha detto: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Il corpo del fratello che soffre è il tempio vivo più prezioso del tempio di mattoni costruito per il culto a Dio, perché è lo stesso corpo di Gesù. Ricordiamo il monito di San Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità”.
Il vero culto, il culto dell’amore, è fare di tutto affinché nessuno a fianco a noi si senta al freddo!
Tony Limongiello
OFS Atripalda
Sempre illuminante il tuo commento, Tony !
Bellissimo, profondo e coinvolgente il tuo articolo, si legge d’un fiato e lascia un solco nel cuore!