«…Mi stai ascoltando?». Quante volte ci è capitato di sentirci dire questa frase o di pronunciarla nel bel mezzo di una discussione con un parente, un amico, un collega? Quante volte durante una conversazione ci zittiamo decidendo di non esprimere il nostro punto di vista, perché le parole o l’atteggiamento del nostro interlocutore ci fanno sentire giudicati, inadeguati o non abbastanza? Dietro a quella richiesta c’è il desiderio di essere ascoltati, dietro a quel silenzio c’è l’amara consapevolezza che il proprio pensiero, il proprio vissuto non siano particolarmente interessanti per chi abbiamo di fronte.
In effetti, non è facile trovare una persona che ascolti e non è così semplice saper ascoltare. Ascoltare, ascolto sono parole usate e abusate, ma sulle quali ci si sofferma troppo poco. Spesso a quella fatidica domanda si risponde con un «Sì sì, sto sentendo». Ma tra ascoltare e sentire c’è una bella differenza. Sentire è percepire, indipendentemente dalla nostra volontà, un suono o una sensazione provocati da un agente esterno attraverso il senso dell’udito. Ascoltare, invece, è un’azione, è scegliere di fare qualcosa in quanto espressione e manifestazione della propria volontà. Mentre il sentire non dipende da noi, l’ascolto mette in gioco la nostra capacità di agire e di relazionarci con chi abbiamo di fronte. Pensiamo al pianto di un neonato. Se quel pianto ci limitiamo solo a sentirlo ne percepiremo esclusivamente il rumore, magari fastidioso e ripetitivo, e cercheremo il modo più veloce per sedarlo. Se, invece, quel pianto scegliamo di ascoltarlo, potremo scoprirne un bisogno fisico o emotivo e avremo l’opportunità di crescere nel rapporto con il nostro bambino e così scoprire cose nuove nella nostra esperienza di genitori. L’ascolto, quindi, è una delle azioni che sono alla base di una corretta relazione con gli altri, con sé stessi e con l’ambiente che ci circonda.
In particolare per noi francescani l’ascolto è, o quanto meno siamo in continuo cammino perché lo sia, uno dei mattoni che costruiscono il nostro stare insieme ed il nostro rapporto con Dio. Ascoltare è condizione indispensabile per costruire fraternità in tutti i sensi e ed è una delle azioni che dà concretezza al dono della fede che abbiamo ricevuto. Tuttavia, come la maggior parte delle cose, anche l’ascolto si impara. Fin da piccoli ci siamo sentiti dire: «Impara ad ascoltare!» e spesso ancora oggi siamo convinti di saperlo fare bene, ma poi nella pratica ci rendiamo conto che non sempre è così. L’ascolto è vero ed è corretto quando è attivo, cioè quando c’è la voglia di relazionarsi con chi ci sta parlando e di capire il suo punto di vista.
Non bastano due orecchie per ascoltare, ma è necessario metterci il cuore e la volontà di fare spazio e donare il proprio tempo e la propria attenzione a chi ci sta parlando e che in quel momento, magari tra tanti sforzi, sta facendo dei piccoli passi per aprirci il suo cuore e farci entrare nella sua vita. In questo senso, imparare ad ascoltare è espressione e misura dell’amore e, più impariamo ad ascoltare il fratello che ci è accanto, più impariamo ad ascoltare Dio. Ascoltare attivamente, dunque, è di fatto un’esperienza di amore: è scegliere di mettersi in relazione facendo tacere il nostro io, il nostro bisogno di autoaffermazione, le nostre convinzioni, i nostri preconcetti per dare l’opportunità a chi ci sta di fronte, che sia il fratello o che sia Dio, di esprimersi e di sentirsi davvero accolto in un ambiente fecondo in cui entrambi possiamo ritrovare noi stessi.
Annabella Troncone