Quest’estate ho avuto la grazia di poter trascorrere ad Assisi qualche giorno con la mia famiglia.
E mi sono chiesta ancora una volta che cosa sia per me San Francesco, cosa sia per me Assisi, cosa significhi per me oggi essere una cristiana francescana.
Sono arrivata ad Assisi con il cuore pieno di ansie, preoccupazioni e miserie. La pandemia è stata un tempo di irrigidimento e sterilità, di stanchezza e di un vivere che è stato molto, troppo spesso, un sopravvivere.
C’era molto silenzio quest’anno ad Assisi, l’agosto in passato affollato per la festa del Perdono ora ospitava pochi turisti, per lo più stranieri, e qualche famiglia. La pianura umbra cantava il suo oro. Come non sentire dentro risuonare il cantico e la lode, come non sentirsi parte di un creato straordinario, come non sentirsi un po’ Francesco per le stradine del borgo. E poi ascoltare finalmente il silenzio, quando la Basilica di sera regalava agli occhi dei visitatori lo spettacolo di una luce bianca e immensa nel buio.
Una luce bianca e immensa nel buio. Per me sono questi San Francesco e Santa Chiara. Mi sembrava di vederli, due ragazzi adolescenti, poi due giovani, un uomo e una donna, tra quelle strade e quelle case, alle prese con tante domande: Chi sei, tu, qui ed ora? Che ci fai qui, proprio qui e non altrove? E proprio con queste persone, in questo tempo e non in un altro? E Tu, cosa vuoi che io faccia? Due ragazzi alle prese con i loro sogni e la voglia, tenacemente vera, di viverli ogni giorno, senza mediocrità. E di viverli non da soli, ma insieme agli altri. È questo il grande dono della fraternità: sapere e potere riconoscere ogni giorno Dio che ti viene a sfiorare nelle persone che hai intorno, i familiari, gli amici, i tuoi colleghi, i tuoi capi, i tuoi alunni, i tuoi clienti, pure loro, come te, in cammino per strade non sempre dritte e confortevoli, pure loro, come te, bisognosi e avidi di un po’ di Bellezza.
E starci, con queste persone, per le strade del mondo, senza pretendere nulla, senza chiudersi nella meschinità della logica del contraccambio, del ricatto, della incapacità di perdonare, dell’ingratitudine.
La povertà, che bella sposa! Quella capacità di Francesco e Chiara di spogliarsi di sé, non solo delle vesti e degli averi, ma di tutto ciò che opprime e appesantisce il cuore. Essere autentici, nella propria nuda bellezza, senza bisogno di maschere e finzioni, con la bocca piena solo di benedizioni.
Mi guardavo attorno, lì ad Assisi, vedevo come per la prima volta il paesaggio chiaro e nitido, mio marito e mio figlio, pensavo ai miei cari, a quelli che ci sono e non ci sono più, alle persone che mi hanno fatto del male e a quelle a cui forse ne ho fatto io, ai pensieri che ogni tanto vengono ad angosciarmi, a quelli che mi procurano felicità. E volevo mantenerla, stringerla quella felicità che sì, era la stessa di Francesco e Chiara, quella che sta solo nelle piccole cose, come quel breve attimo di pace sottratto ai meccanismi mortiferi del quotidiano. Nel cuore, qualcosa che forse era gratitudine.
La povertà e la fraternità, insieme la felicità: per me sono questo Francesco e Chiara oggi, e lo saranno ancora, ogni volta che mi fermerò lì in piedi sotto la Croce, sotto lo sguardo aperto di un Cristo sempre pronto ad abbracciare ciascuno di noi. Ogni volta che, deposto ogni assalto dell’io, saprò farmi condurre come un bambino dalla mano di suo padre.
Maria Consiglia Alvino
OFS di Atripalda
Bravissima Maria Consiglia, le tue parole mi hanno emozionata! Grazie di cuore 🙏🏻❤️
Articolo meraviglioso…leggendolo mi hai trasportato proprio in quei luoghi, che non vedo l’ora di poter rivedere.