Quest’anno nelle fraternità dell’Ordine Francescano Secolare, negli incontri che settimanalmente teniamo per meditare, pregare e confrontarci insieme, il tema che ci sta accompagnando è l’Umiltà.
La bellezza del condividere questo cammino con altre sorelle e fratelli sta nell’opportunità di poter davvero sperimentare una comunione di esperienze che ti mostrano quanto un aspetto della nostra spiritualità si coniughi in tante dettagliate situazioni della vita: in famiglia, sul lavoro, nel rapporto con sé stessi e con Dio. Ecco che così, mettendo insieme le esperienze di tutti, grazie alla presenza dell’altro, ciascuno porta con sé qualcosa di nuovo che sarà nuovo spazio di meditazione e preghiera nella vita di tutti i giorni; in altre parole, si fa un nuovo piccolo passo verso Dio.
Sembra un paradosso ma, alla conclusione di ciascun incontro, seppur felice di quella felicità che deriva proprio dall’aver incontrato i miei compagni di cammino (anche se talvolta solo online), molto spesso mi capita di portare con me delle nuove inquietudini, nuovi dubbi; l’aver scoperto qualcosa di nuovo di me mi fa anche capire che in realtà sono spesso manchevole in quell’aspetto.
Quest’anno, fino ad ora, tante sono state le domande che mi sono portato a casa è che ovviamente mi hanno fatto uscire “sconfitto” dal confronto con esse: quanto questa Umiltà diventa vita concreta in famiglia e con gli amici, per esempio in una reale capacità di ascolto che metta al centro i bisogni dell’altro? Nel lavoro, quanto mi faccio prendere e quanto sono distaccato da quella competitività che ne riempie ogni aspetto? Sono vicino a chi vive situazioni di difficoltà? Verso i poveri, quelli che davvero vivono situazioni di disagio economico, quanto sono attento? Faccio qualcosa di concreto? Quanto la mia esperienza di vita è radicata nella Parola di Dio? Sono testimone ed esempio del messaggio evangelico negli ambienti che frequento?
Probabilmente sono gli stessi pensieri che ci accompagnano dai tempi della giovinezza, è anche un po’ giusto che siano con noi lungo il nostro percorso. Senza un pizzico di sana inquietudine monteremmo in superbia; forse è proprio tutto questo lo spazio nel quale si realizza la nostra crescita di donne e uomini, di cristiani alla sequela di Francesco di Assisi, in altre parole il nostro cammino di santità.
Un bel po’ di anni fa, quando ero un giovane di belle speranze e dalle mille energie, quello che oggi riesco anche a vedere con uno sguardo più benevolo ed equilibrato era invece qualcosa che non mi faceva letteralmente dormire la notte; sentirsi inadatto, quasi “fatto male”, incapace di quell’Amore che proviene da Dio. In quegli anni mi venne incontro una preghiera che non ho mai più dimenticato e che, in quello spirito di condivisione che contraddistingue la nostra spiritualità, sento di voler riproporre a conclusione di questa riflessione con l’augurio che “vi faccia bene” come ha fatto a me.
Signore, nel realizzare il tuo disegno eterno, mi hai chiamato all’esistenza
in quel contesto di dati che sono la mia storia.
Perché così e non in altro modo?
Ti sei forse sbagliato? No.
Tu non mi hai creato per sbaglio, né per distrazione, né per contrattempo.
Al momento giusto, all’ora tua, secondo il tuo disegno e la tua volontà,
secondo la tua scelta, tu mi hai formato.
Sono fatto bene per essere santo.
Se dicessi di no mi parrebbe di mancarti di riguardo,
di dire che neppure a te riescono le cose come le vuoi,
che anche a te capitano gli infortuni.
Signore, sono fatto bene per te.
Alle volte perdonami se te lo dico, mi trovo fatto un po’ meno bene per me.
Ma confesso, sia pure con un po’ di fatica, che è più importante essere fatto bene per te che per me.
I miei limiti non devono essere motivo di cruccio per la mia superbia,
né motivo di malumore quando gli altri li vedono.
Signore, ti benedico e ti ringrazio che mi hai fatto come mi hai fatto.
Gli altri possono dire quello che vogliono.
Io ho solo da dirti: grazie.
Ho solo da benedirti, ho solo da sentire una riconoscenza eterna perché mi hai fatto come mi hai fatto.
E quando gli altri trovano che sono uno sgorbio, più che una cosa buona, io, Signore, credo a te.
Alle volte mi prende la voglia di vedere come te la caverai con questa povera creatura che io sono.
E penso che la vita eterna sarà beata anche per questo:
perché là capirò quello che adesso non capisco e mi spiegherò ciò che adesso è un mistero.
(Card. A. Ballestrero)
Igino Tomasetta
OFS Atripalda