Abbiamo appena concluso la Settimana di Preghiera per l’Unità dei cristiani. In un contesto di guerre che tentano di congelare la nostra speranza, più che mai, sentiamo la necessità di alzare la nostra voce e intensificare la nostra preghiera per chiedere a Dio perdono e misericordia.
Come tutti gli uomini, la tentazione è quella di difendere e curare la propria vita, i propri interessi, lasciando che ognuno vada per la sua strada “e si salvi chi può”.
Come cristiani, fedeli al Vangelo, sappiamo del nostro impegno missionario e della nostra responsabilità fraterna in rapporto a ogni uomo e ogni donna, chiunque sia, dovunque sia.
Come buoni figli e fratelli di San Francesco, “l’Alter Christus”, ci interessano la vita e la salvezza di tutti, anche a costo di mettere a rischio la nostra vita per salvare qualcuno. Davanti ai tanti e diversi scenari di violenza e autodistruzioni individuali, ai quali oggi purtroppo assistiamo, mi sembra utile e opportuno ricordare il viaggio di Francesco per incontrare il Sultano (cfr. FF: 2231-2234). Cosa animava il cuore e la missione del Poverello d’Assisi? Cosa ha portato ai Saraceni e cosa ha ricavato dal suo viaggio?
Ascoltiamo come lo descrive, in poche battute, Tommaso da Celano: «Nel tredicesimo anno della sua conversione, partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli parlava, e la decisione e l’eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? […] [Il Sultano] lo circondava di favori regalmente, e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri» (cfr. FF: 422).
Da dove nasce questo coraggio e questa determinazione?
Francesco è l’uomo pacificato, coscienti di essere redento dall’amore di Dio, perciò: puro, libero, povero; e lo conferma anche il proprio Sultano. È fondamentale ricordare che entrambi sono rimasti fedeli alle proprie convinzioni, ma rispettosi l’uno della decisione dell’altro. Come ci manca questo dialogo puntuale, franco e rispettoso! Certo, per Francesco non esisteva “il giogo degli interessi” se non soltanto il “guadagno” del fratello, la sua salvezza. È partito senza nulla e senza nulla è ritornato, ricco solo dell’esperienza fraterna di quel colloquio; e grato a Dio che lo aveva liberato dalla morte.
Invece sappiamo bene che nelle trattative nazionali e internazionali quasi sempre vince l’interesse di parte, pur nel dichiarato intento di perseguire il benessere e lo sviluppo economico mondiale, una bugia che manifesta le sue “gambe corte” nell’immensa moltitudine di poveri, emarginati, rifugiati, flagellati. Come siamo lontani dall’esempio di Francesco d’Assisi!
Perciò, mantenendo nel cuore il sogno dell’unità e della fraternità, uniti all’instancabile appello di Papa Francesco, intensifichiamo la nostra preghiera e chiediamo a Dio che rinnovi il nostro cuore e i cuori induriti; che ci doni tanta capacità e audacia cristiana per scegliere il cammino della pace, attraverso gesti di giustizia e di fraternità disinteressata, con l’unico scopo di rigenerare l’Umanità nell’amore.
La difesa della dignità e della libertà di ogni essere umano è un diritto e un dovere indiscutibile e irrinunziabile, perciò come «credenti abbiamo bisogno di trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri. Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che pensano diversamente. […] Perché tanto più profonda, solida e ricca è un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare contributo». Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo […] (cfr. Fratelli Tutti, 282). Sì, perché non possiamo dirci cristiani se il nostro culto e la nostra preghiera non eliminano alla radice ogni ombra di discriminazione, odio e violenza, per aprirci «al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti. Come leader religiosi siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di fare sconti a tutte le parti, al fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore, invece, è colui che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!». (cfr. Fratelli Tutti 283.284).
Suor Maria Aparecida da Silva
Suore Piccole Missionarie Eucaristiche di Atripalda