Per-donare

Concludendo il percorso di formazione suggerito per questo anno fraterno dall’Ordine Francescano Secolare d’Italia, dopo aver riflettuto su quanto sia importante “Ascoltare”, “Ringraziare”, “Dialogare/Condividere”, “Servire/Sostenere”, per costruire fraternità, noi terziari di Atripalda abbiamo approfondito il tema del “Perdonare”. Ci siamo fatti guidare da un nostro fratello sacerdote, don Pasquale Lionetti, attualmente parroco di Montaperto di Montemiletto (Av), il quale ha scavato nella nostra coscienza e l’ha per così dire “rivoltata”. Don Pasquale ha espresso con parole semplici e dirette quello che effettivamente deve essere il perdono: non parole, ma fatti; non ipocrisia, ma verità. Ha esordito dicendo che ci avrebbe parlato di ciò che dobbiamo essere, perché il Cristianesimo è un dover essere: infatti la parola conversione, spesso usata da San Francesco, è la chiave che ci fa entrare nell’argomento del perdono. Invocando lo Spirito Santo il sacerdote, al termine della Confessione, dà l’assoluzione; quello stesso Spirito Santo che permette all’uomo di prendere coscienza del peccato. Perciò, all’inizio dell’incontro, abbiamo pregato così:

«Spirito Santo, tu che hai guidato la vita di Gesù, Tu che sei uscito dal cuore trafitto di Gesù morente, perché arrivando al cuore malato dell’uomo possa risorgere a vita nuova, aiutaci a capire le esigenze del Vangelo e a viverle nella carità, pur nella nostra debolezza e nella nostra fatica. Amen».

Don Pasquale ha subito messo in evidenza che perdonare non è dimenticare, ma moltiplicare il dono (per-donare, cioè donare a piene mani, in cui “per” ha valore intensivo). Nel Vangelo (Mt 18,22), Pietro chiede quante volte bisogna perdonare, proponendo sette volte, più di quanto prescriva la legge ebraica; crede di aver risposto bene e quindi si sente disorientato quando Gesù gli risponde: “Non sette, ma settanta volte sette”, che praticamente vuol dire sempre.

Parlare di Pietro è parlare di ciascuno di noi: anche per noi è difficile aderire con tutto il nostro essere a questa sublime proposta-legge di Gesù. Noi che dobbiamo dare il perdono, siamo bisognosi di perdono. Attraverso le esperienze personali si passa dal piano ontologico a quello esistenziale; senza questo passaggio il Cristianesimo perde la logica della sua valenza. Perché l’incarnazione? Gesù si è incarnato per riconciliare gli uomini con Dio, con sé stessi, con il creato. Il peccato dell’uomo ha provocato un disastro generale in tutto l’universo; tra le contraddizioni di questa storia, l’umanità comunque sta andando verso la pienezza della redenzione e quindi, nonostante tutto, lo Spirito Santo agisce nella storia: Cristo ieri, oggi, sempre. Il perdono deve uscire dal cuore, come dal cuore esce ciò che ferisce e offende noi e di conseguenza inquina sia la società religiosa che quella civile: malizia, vanagloria, maldicenza, cupidigia, i sette peccati capitali.

Alludendo alla correzione di Paolo nei confronti di Pietro, don Pasquale introduce poi l’importanza della correzione fraterna e continua evidenziando il percorso che porta al superamento dell’offesa. Perdono e correzione vanno insieme. Ne è un esempio la vicenda di Giuseppe venduto dai fratelli: il percorso che questi fa fare a coloro che tanto vilmente lo hanno fatto soffrire li porterà infine al perdono, che arriva dopo la correzione fraterna. In fondo tutto ci riporta all’ineffabile unico comandamento che ci ha lasciato Cristo: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Se ci lasciamo condurre dall’amore tutto diventa fattibile. Inoltre, per noi cristiani ci sono dei punti fermi, ineludibili, e sono le parole di Gesù scolpite nei nostri cuori: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. “Vi fu detto: non uccidere… ma io vi dico: «Chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio».  C’è un’altra affermazione forte di Gesù: “Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”. Anche se il fratello non vuole riconciliarsi, l’offeso deve essere indulgente: essere cristiani vuol dire essere misericordiosi. Solo attraverso la misericordia si può arrivare al perdono. Come abbiamo ricevuto il perdono da Dio, così dobbiamo perdonare i fratelli.

Bisogna fare un cammino di conversione interiore, non vedere solo le nostre ferite, ma anche quelle dell’altro e considerare che chi ci offende è ferito anche lui, è un mendicante del nostro amore e della nostra attenzione, la misericordia ti fa vedere quella persona nella sua povertà; il perdono nasce da quest’ottica di fede. Gesù sulla croce grida: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!”.

Ecco allora l’ignoranza, a volte anche l’accecamento: ci sono passioni disordinate nel nostro cuore… Chi perdona deve essere capace di soffrire per l’altro, di rimediare per l’altro, di riparare; quando perdoniamo ci facciamo carico anche del peccato dell’altro. Questa è la vera carità! Ricordando le parole di San Paolo: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira”, ci dobbiamo affidare a Dio e offrire il torto subito, dicendo: “Gesù io in te perdono anche se non ce la faccio”; è lo Spirito Santo che ci permette di perdonare. A questo punto don Pasquale ci coinvolge in un’analisi del quadro di Rembrandt, in cui il padre che perdona è immagine di Dio, padre-madre, che perdona l’umanità, mentre il figliuol prodigo, che attraverso il perdono del padre è nato a vita nuova, rappresenta tutti noi; il rosso del mantello ci riporta al sangue di Cristo. Ricordando le parole di San Pietro: “Benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi fanno del male” e di San Paolo: “Perdonatevi a vicenda, come Dio ha perdonato voi in Cristo, siate imitatori di Dio: camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”, don Pasquale ribadisce la centralità della carità e della misericordia. La croce intesa come libertà dal peccato.

Quando il cristiano, ferito e offeso, si trova nel buio del proprio dolore e stenta a perdonare, quando emergono le zavorre della nostra povera umanità, quello è il momento di ricorrere a Dio; da soli non ce la facciamo, non ce la possiamo fare, ma, affidandoci al Padre, offriamo a lui le nostre sofferenze e preghiamolo di darci la forza di perdonare, perché lo desideriamo e abbiamo bisogno del suo aiuto. Ma se qualcuno non vuole accettare il nostro perdono, allora non c’è più riconciliazione, che si fa in due; tuttavia resta il perdono da parte del cristiano, e questo è importante.

Maria Pia Murè

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