Padre Nostro ‘che sei nei cieli’.
È proprio di Gesù avvicinare gli opposti: ‘Padre’, una realtà così intima a noi, ma che è ‘nei cieli’; così siamo invitati a elevare lo sguardo lassù, all’infinita grandezza di Dio.
Questa convergenza tra immanenza e trascendenza viene spiegata in modo così semplice da Francesco d’Assisi: «Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio. Perciò non può essere visto che nello spirito, poiché è lo Spirito che dà la vita» (Am. 1,5-6).
Ma questa luce inaccessibile non è un luogo in cui Dio è distante, isolato nella sua onnipotenza. Ecco perché nella parafrasi Francesco aggiunge e spiega: «Padre Nostro che sei nei cieli: Negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce; infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene».
Come vediamo, nell’esperienza di Francesco il cielo non ha niente di statico, c’è un movimento di luce che è “conoscenza” e un amore che è “infiammabile”, dal quale scaturiscono la felicità e il bene. Dunque, quella luce inaccessibile diventa accessibile in coloro che abitano in Dio, che è Padre, origine e fonte di ogni bene, e quindi di felicità.
Il ‘cielo’ del ‘Padre Nostro’, non è lo “spazio siderale” che l’essere umano cerca di conoscere e indagare, per dominare; e per quanto la NASA giri lo spazio non risulta che abbia ancora trovato angeli e santi. Il cielo è quel “luogo” dell’abitazione di Dio, degli angeli e dei santi, riservato a tutti, ma in possesso di nessuno. Cielo e Universo sono doni della Bontà assoluta del Padre.
Se l’essere umano non si rivolge dal basso, dalla sua vera posizione di creatura nell’immenso universo, per dirigersi e pregare al Padre come “figlio” amato, salvato e atteso, non riuscirà a entrare in quella luce di amore e conoscenza al quale è chiamato e destinato; anche perché solo come “figlio”, con i sentimenti del Figlio-Gesù, riuscirà a entrare in quella comunione universale con tutti e con tutto, che è appunto, il modo di essere del poverello di Assisi.
Su questo atteggiamento filiale insiste anche Papa Francesco: «Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi» (Laudato si’, 75).
I santi hanno vissuto questa esperienza filiale attraverso la pratica dell’amore, nella ricerca e realizzazione del bene qui, sulla nostra terra; e sui passi di Gesù, hanno anticipato nel loro tempo il Regno dei cieli. Questi uomini e donne di fede non sono distanti da noi, non è finita la loro relazione con noi, anzi, noi cristiani ad ogni Eucaristia professiamo la Comunione dei santi, la Comunione tra cielo e terra. Così la Chiesa, che celebra la venuta del Signore, è segno e “luogo” dove chiunque può incontrare il Padre Nostro; conoscerlo, amarlo e sentirsi avvolto dalla sua misericordia, dalla sua infinita bontà.
Con gli occhi rivolti al cielo siamo dunque certi di essere sotto quello sguardo paterno, che ci accompagna dovunque siamo, mentre camminiamo quaggiù, con la sicurezza di figli amati, che prima o poi ritorneranno alla casa del Padre, dove l’amore qui ricercato e vissuto sarà nostra eterna beatitudine.
Sr. Maria Aparecida Da Silva
Suore Piccole Missionarie Eucaristiche di Atripalda